Che il mondo della malavita abbia sempre alimentato l'immaginario cinematografico è cosa nota. C'è però un'altra evidenza riguardo le pellicole più celebri e riconosciute sul crimine organizzato (qui la lista completa, con oltre 300 titoli): il fascino indiscutibile dei loro protagonisti. Da don Vito Corleone a Tony Montana, passando per una teoria praticamente sconfinata di boss e aspiranti tali, non c'è dubbio che il pubblico, in presenza di una storia forte e ben raccontata, sia portato a provare simpatia anche per personaggi dalla condotta riprovevole.220px Antonio Nicaso

Come si concilia la sospensione del giudizio dello spettatore con la necessità di ragionare seriamente su fenomeni tragici e ineludibili come la mafia e la camorra? Sono tanti gli insegnanti che provano a sfruttare i film e le serie tv per educare e produrre conoscenza su questi temi. Per ognuno di loro emerge il dilemma legato alla drammaturgia e agli inevitabili processi di immedesimazione. Esistono film contro la mafia? Quali sono le opere più indicate per far capire e spiegare ai ragazzi le logiche del crimine organizzato? Ci sono pellicole diseducative? O si tratta solo di "leggere" adeguatamente le storie e ragionarci sopra?

Queste ed altre domande sorgono spontanee per chiunque voglia introdurre il tema con bambini e adolescenti, e intenda farlo anche attraverso la potente lente dello strumento cinematografico. Per avere qualche risposta ci siamo rivolti ad una delle massime autorità sull'argomento: Antonio Nicaso, giornalista, saggista e docente universitario, da trent'anni studia i complessi fenomeni legati al crimine organizzato, concentrandosi proprio sulle narrazioni delle varie mafie. Si è inoltre occupato attivamente di divulgazione ed educazione in questo campo pubblicando decine di testi. Tra questi, ricordiamo le opere edite da Mondadori La malapianta (2010), La mafia spiegata ai ragazzi (2010), e La mafia fa schifo (2011).

Nel video c'è l'intervista audio (con inserti dei film citati). Di seguito la trascrizione.


Antonio Nicaso, siamo qui per parlare di rapporti tra il cinema e le mafie. La prima domanda in realtà riguarda l'educazione in generale. Lei si occupa attivamente di questo tema da molti anni. Qual è l'età giusta per affrontare questo tema? Per introdurlo in famiglia oppure in ambito scolastico?

Quando ho sentito per la prima volta la parola 'mafia' avevo sei anni e mezzo. Avevano ammazzato il padre di un mio compagno di scuola, il quale si era rifiutato di comprare il ferro dai mafiosi che controllavano la zona. Io ho capito subito che cosa fosse la mafia leggendo il dolore negli occhi del mio compagno di scuola. Si raccontava che nonostante l'omicidio fosse stato commesso in piazza, quindi davanti a tante persone, nessuno aveva avuto il coraggio di testimoniare, di fornire indicazioni utili per risalire agli assassini. Questa cosa mi turbò moltissimo, anche perché quando cercai di capire mi dissero che erano cose di cui non bisognava occuparsi. Erano cose da grandi. E quindi quelle "non" risposte hanno segnato fortemente quella che è stata la mia percezione del fenomeno e ho capito tante cose: che è l'infanzia che segna, che influenza il cammino della vita. I valori che trasmette la famiglia, l'idea che giusto e sbagliato non siano legati alla trasgressione di una norma. Quindi, per rispondere alla sua domanda, dico che ai figli bisogna insegnare l'importanza del bene comune: ciò che è mio è di tutti; quindi la mafia si combatte anche imparando l'importanza delle regole e il rispetto del prossimo: capire da che parte stare.

Per la didattica, il cinema può costituire un aiuto. Può essere un elemento importante per approcciare un argomento complesso con i ragazzi. Quali sono i film che a suo parere potrebbero essere adatti a un pubblico anche molto giovane?

la mafia uccide solo destateSe dovessi far vedere un film a un bambino comincerei con La mafia uccide solo d'estate, di Pier Francesco Diliberto, il quale ha detto una cosa importante: "più ragazzi ci staranno a guardare, più cresce la speranza per il futuro". Suggerirei anche Tano da morire di Roberta Torre, che racconta un omicidio di mafia nella forma cinematografica del musical, oppure per esempio Terapia e pallottole, di Harold Ramis, in cui il mafioso viene rappresentato in preda alle ansie e alle nevrosi dell'epoca contemporanea, quindi bisognoso del lettino dell'analista (come poi farà anche la serie televisiva I Soprano). Mi è piaciuto molto anche il personaggio di Ciccio Mira, il colluso omertoso nel film Belluscone - Una storia siciliana di Franco Maresco. Questi sono dei film che ho apprezzato perché spesso purtroppo i mafiosi vengono descritti come custodi della tradizione, fedeli al concetto di famiglia. Sembrano quasi personaggi tratti da tragedie shakespeariane; penso alla trilogia del Padrino: un grande capolavoro ma è un film che ha finito per mitizzare la mafia e quindi si inserisce nell'ottica di questa rappresentazione molto seriosa della mafia. Penso, ritengo che invece i personaggi mafiosi dovrebbero essere demistificati, demitizzati. Forse potrebbe aiutarci la parodia: ogni grande mito è stato oggetto di parodia fin dai tempi del poema epico omerico, quindi potremmo utilizzare la parodia per cercare di rappresentare la mafia. Penso per esempio alla tragica avventura vissuta da Odisseo nella grotta del ciclope, che diventa parodia nel dramma satiresco Il ciclope di Euripide. Penso alle battaglie epiche di Achille dei suoi di fronte alle mura di Troia che sono state ridicolizzate nella battaglia delle rane contro i topi. Personaggi dalla statura eroica che vengono rappresentati come pavidi, esseri deformi e turpi che suscitano l'amore di bellissime ninfe. Ecco, la parodia potrebbe essere secondo me l'antitesi stessa del mito, quindi un modo interessante per cercare di rappresentare anche la mafia e i mafiosi.

Ha già parzialmente risposto alla domanda, ma tornerei sulla diatriba annosa intorno alla rappresentazione del crimine organizzato: in sintesi c'è chi ravvisa nei film di mafia il pericolo che ha citato, quello di "mitizzare" i criminali. Di contro c'è chi è convinto che produrre cultura intorno a un fenomeno sia sempre positivo nella misura in cui porta alla luce il tema in oggetto. Pensa sia giusto opporre una forma di resistenza alla produzione di narrazioni che esaltano il ruolo del criminale?

Io sono sempre contro ogni forma di censura, però dico anche che i film bisognerebbe saperli leggere, occorrerebbe saperli contestualizzare, e guardarli con insegnanti in grado di spiegare: in alcune serie televisive il contrasto è tra il male e il peggio. Come dicevo, io sono per la libertà espressiva: i film non sono documentari, però se poi creano senso di emulazione bisognerebbe farsi qualche domanda. Io dico che sarebbe necessario interrogarsi su quello che poi è il prodotto finale. Non è possibile trasformare i criminali in eroi. A me piacciono i film che si ispirano a fatti realmente accaduti e che in un certo senso contribuiscono a comprendere il contesto socio-economico, politico e culturale. I film che ho apprezzato, che amo di più, sono quelli di Francesco Rosi. Ecco, Rosi era un grande regista. Io l'ho conosciuto al Middlebury College, dove insegno da tempo occupandomi proprio della rappresentazione televisiva e cinematografica delle mafie. Mi ha colpito quest'uomo, questo grande regista che era un investigatore,sa uno che si faceva mille domande e ne cercava con tenacia le risposte. Ecco, questi sono i film che mi piacciono, i film che non ti fanno solo vedere ma ti fanno anche capire: che scavano nelle retroterra e portano alla luce il contesto, perché la mafia è facile da rappresentare. Quello che è molto difficile da rappresentare invece è il contesto in cui la mafia si muove: tutto quello che le ruota attorno. La mafia non è solo un fenomeno criminale. Falcone diceva che per combatterla bisogna ridurlo a un fenomeno criminale ma la mafia è qualcosa di molto più complesso, che ha relazioni con la politica, con l'imprenditoria, con la finanza, e quindi per capire le mafie bisogna capire il contesto.

Rosi effettivamente è stato uno dei pochissimi registi che è riuscito appunto a restituire la complessità del fenomeno. Di norma invece "ci si accontenta" di raccontare storie vere di resistenza al crimine. Questo si articola in vari ambiti: quello giudiziario (con opere come 'Giovanni Falcone'), giornalistico (citerei 'I cento passi' e anche 'Fortapasc', un film un po' meno fortunato dal punto di vista del pubblico ma interessante) ed educativo ('Alla luce del sole'). In generale le chiederei quali sono i film più importanti sull'antimafia, sulle storie vere di persone che si sono opposte al sistema?

Ecco, io partirei proprio da questa sua domanda, che è molto pertinente per spiegare un concetto: la mafia è nata in Sicilia, ma in Sicilia è nata anche l'antimafia, quindi nell'ambito della narrazione contro le mafie bisogna tenere conto di alcuni film: oltre a quelli che lei ha citato per esempio segnalerei Placido Rizzotto di Pasquale Scimeca, che ha raccontato la crudeltà della mafia che non è mai stata dalla parte dei deboli contro i forti o dei poveri contro i ricchi. Placido Rizzotto racconta la mafia dei feudi, la mafia dei gabellotti, quella che uccideva i sindacalisti che osavano sfidarla, quella che ammazzava i bambini, come Giuseppe Letizia, solo per evitare che potessero diventare testimoni scomodi, oppure stuprava le donne come Lia, solo perché si erano innamorate delle persone sbagliate. Ecco, questo tipo di film, che spazzano via la retorica della vecchia mafia, sono le opere importanti. Non c'è mai stata una vecchia mafia che era parsimoniosa nell'uso della violenza, che rispettava donne e bambini. Bisognerebbe prendere l'elenco telefonico per inserire tutte le vittime innocenti delle mafie. E quindi un film che contribuisce a spazzare via questa retorica della vecchia mafia, un po' anche legittimata da film come Il padrino, in cui don Vito Corleone rappresenta quella mafia che si oppone al coinvolgimento nel traffico di droga, contrariamente alla corrente di Virgilio Sollozzo, che invece è quella aggressiva, quella che vuole cercare di elevare la mafia ad un livello superiore: da quello della mediazione a quello della giustizia alternativa. Ecco, insieme a quelli che lei ha citato, questi sono film che contribuiscono a spiegare il fenomeno. Ho apprezzato appunto un film come Fortapasc, che racconta la vicenda del giornalista Giancarlo Siani, e naturalmente anche Alla luce del sole, che ricostruisce la vita di don Pino Puglisi. Sono film che possono benissimo essere usati nelle scuole per far comprendere che esiste la mafia ma che esiste anche l'antimafia. In questo senso il cinema può essere importante: il problema è che, per riprendere un po' quello che si era detto prima, quando si fa vedere un film che crea gallerie di camorristi, questi poi finiscono per influenzare gli atteggiamenti di tantissimi giovani, ragazzi che vivono situazioni di grande disagio. Questi modelli diseducativi attecchiscono dove c'è più diserzione scolastica, dove si fa più fatica ad inserirsi nel mondo del lavoro. Il film deve essere spiegato. Io ricordo una scena che mi raccontò Andrea Meccia: in una delle sue visite in Calabria, quando placidorizzottofece vedere la foto di Pio La Torre e un ragazzo di un liceo cominciò a fare il versetto 'pio pio pio' utilizzando quell'espressione utilizzata nella serie Il capo dei capi per spiegare a Riina che Pio La Torre era stato ammazzato. Ecco, il ragazzino che non conosceva la storia di Pio La Torre lo identifica con quella persona di cui mafiosi fanno il verso nella serie televisiva. in questo senso intendo che certi film sono diseducativi, perché manca la capacità poi di contestualizzarli, di spiegare: qualcuno avrebbe dovuto dire al ragazzo: "sì, hai visto Il capo dei capi. Si parla di Pio La Torre che è un grande politico che si è battuto contro la mafia ed è stato capace anche di promuovere una legge che oggi è importante come quella appunto che consente il sequestro e la confisca dei beni illegalmente conseguiti". E' la legge antimafia duramente costruita sul sangue di molte persone e che oggi è un'eccezione nell'ambito internazionale. L'Italia è uno dei pochi paesi che ha una legge che colpisca il vincolo associativo.

Da questo punto di vista è abbastanza interessante il caso di 'Gomorra' perché, con riferimento al film di Matteo Garrone, cioè il lungometraggio, lui fece una scelta molto intelligente a mio modo di vedere, non dando risalto e non rendendo riconoscibile nessun personaggio reale. E anche i personaggi dei boss nel film hanno poco rilievo. Al contrario, nella serie tv, che ha avuto un grandissimo successo, questo non accade, e infatti si è generata una galleria di personaggi molto riconoscibili. Lei ha un parere? ha visto il film e la serie tv?

Mah, io ho visto Gomorra di Garrone e mi è piaciuto: ha raccontato la camorra che distrugge il territorio senza alcun rispetto per il bene comune ma anche la forza di un'organizzazione criminale che è direttamente proporzionale alla debolezza del territorio. Della serie tv ho visto qualche puntata non mi è piaciuta affatto, proprio perché come giustamente ha sottolineato lei ha creato una galleria di camorristi che hanno finito per influenzare gli atteggiamenti di molti giovani. Nella serie c'è solo il male, il nero assoluto: viene raccontato questo territorio come se fosse abitato solo da boss spietati, da ragazzini assetati di sangue, quindi non c'è nessun margine non dico di redenzione ma anche di critica. Io mi immedesimo nei cittadini che vivono quei territori, che lottano, che resistono e che non trovano spazio. E quindi il rischio è: bene, raccontiamo il male assoluto ma allo stesso tempo c'è anche chi quel male lo combatte; quindi andrebbe raccontato. E poi in un contesto dove c'è diserzione scolastica, dove ci sono problemi sociali, uno ha la possibilità quantomeno di identificarsi con un personaggio positivo, piuttosto che con Genny gomorra%20stasera%20in%20tv%20film%2020%20febbraio%202018%20trama 19155308Savastano. Però ecco, raccontare un fenomeno attraverso questo confronto tra il male il peggio, in alcuni contesti rischia appunto di creare modelli diseducativi. Io però non mi sento di dare la colpa a Gomorra - La serie. La colpa è di politiche sociali che non sono state mai prese in considerazione, dell'abbandono del territorio, delle poche strategie messe a punto per risolve il problema della dispersione scolastica. Sono tanti i fenomeni che vanno messi in conto, e quindi ancora una volta, tutto parte dalla capacità di creare dei programmi scolastici che possano andare oltre la geografia, la storia e l'italiano; cercare di capire il contesto: non si può spiegare e raccontare la storia d'Italia senza tenere contro la storia della mafia e senza capire quanto la mafia sia stata determinante nella storia del nostro paese. Sono tutte cose che vanno raccontate, che vanno spiegate, che vanno capite. Ecco l'importanza appunto di una scuola che possa insegnare. Invece l'Italia fa poco sotto questo profilo: gli insegnanti sono poco pagati, c'è poca attenzione per il mondo dell'informazione. Io vivo in un paese che mette al primo posto la sicurezza, ma soprattutto l'istruzione: gli insegnanti vengono pagati adeguatamente, perché fanno un lavoro importante, si occupano della crescita dei nostri ragazzi. Così come è importante il ruolo delle famiglie. Sono tutte parti in causa che bisogna sempre e comunque coinvolgere nell'educazione dei giovani. Queste sono le cose di cui bisogna tenere conto al di là delle serie, al di là delle critiche. Alla base c'è l'idea che bisogna investire sui giovani, investire nella conoscenza che è un'arma efficace poi nella lotta contro i fenomeni criminali.

C'è una storia di antimafia che a suo parere potrebbe diventare un grande film? Un'opera ideale che non è ancora stata realizzata?

E' una domanda difficile! Ci sono tante storie che non sono state sono state ancora raccontate: preti ammazzati all'indomani dell'unificazione territoriale d'Italia perché si erano messi contro la picciotteria, una sorta di 'ndrangheta prima maniera; preti che hanno avuto il coraggio di sfidare la mafia negli Stati Uniti agli inizi del secolo scorso, assieme a tanti connazionali che poi sono stati anche ammazzati perché si rifiutavano di pagare il pizzo, una sorta di tassa sul quieto vivere che veniva applicata anche ai minatori: la tassa sul salario. Ecco, tante storie importanti di resistenza che non sono conosciute, storie di impegno civile. Sono tante le vicende che secondo me andrebbero raccontate, soprattutto quelle che contribuiscono a spazzare via i luoghi comuni sulle mafie. Ecco, le mafie non sono mai state rivoluzionarie. Al contrario sono sempre state reazionarie: sono fenomeni di classi dirigenti: far capire questo è forse uno degli obiettivi che bisognerebbe porsi per sfatare l'idea dell'"onorata società", dell'onore e del rispetto che ha sempre circondato i mafiosi. I mafiosi sono vigliacchi che sparano alle spalle. Sono stati inizialmente il braccio armato del potere e continuano ancora oggi a gestire attività criminali che non tengono conto del bene comune: distruggono il territorio, versano veleni in territori contaminando falde acquifere... ecco sono dei nuovi barbari, e andrebbero raccontati in questo modo, piuttosto che come personaggi shakespeariani, quasi tratti dalle tragedie, come se fossero tanti MacBeth seriosi. Tante storie si potrebbero raccontare, di mafia, in un modo diverso. Della loro mediocrità, delle loro bassezze. Sarebbe un modo anche per demitizzare la mafia e demitizzare mafiosi.

Prima di salutarla vorrei fare la domanda consueta con cui concludiamo le interviste, ovvero qual è il suo film preferito, non necessariamente legato al tema di cui abbiamo parlato oggi?

salvatore giuliano 1962 francesco rosi 11Beh, io sono monotematico! Anche se guardo pochi film sulla mafia, se ce n'è uno che mi è sempre piaciuto e che rivedo sempre con piacere è Salvatore Giuliano di Francesco Rosi: è un capolavoro. D'altronde Rosi è il regista italiano più studiato all'estero. Bisognerebbe in un certo senso farlo conoscere alle giovani generazioni. Salvatore Giuliano per esempio è un film che va oltre l'oscura esistenza di questo bandito, tanto che quest'ultimo non si vede quasi mai in faccia: si vede questo impermeabile bianco che si muove sullo sfondo... però più che un film sul personaggio, nonostante il titolo (ma non era il titolo che Rosi aveva scelto per il suo film. E' stato imposto dalla produzione perché all'epoca "tirava" il fenomeno Giuliano) è un film che in un certo senso cerca di scandagliare i misteri di un paese senza verità e senza memoria. Cerca di scandagliare gli intrecci tra mafia e potere: i depistaggi, le stragi di stato... Portella della Ginestra è stata una strage di stato, la prima strage di stato della Repubblica. Quella della mafia è una lunga storia di trattative inconfessabili e Rosi, beh, lo aveva capito prima di tanti altri.