Emergenza, allarme, crisi... Quando si parla di migranti, le parole tendono ad enfatizzare il fenomeno ricollegandolo all'attualità più stringente. Ma se queste espressioni si susseguono per mesi, o persino per anni, ecco che il loro significato tende a evaporare. segre
Lontano dall'agone isterico della cronaca quotidiana e dalla politica imbarbarita dagli slogan, c'è il cinema. Attraverso di esso, alcuni autori hanno tentato, negli ultimi anni, di interrogare una realtà resa sempre più complessa dai flussi migratori e dal risalto mediatico dato al fenomeno. L'elenco completo dei film sulle migrazioni contiene oltre 300 titoli e consente persino di selezionare le opere in base alle aree di provenienza o le destinazioni dei personaggi.

Andrea Segre è uno dei registi che ha più insistito sul tema, realizzando numerosi film di fiction (Io sono Li, La prima neve) e documentari (Mare chiuso, Come un uomo sulla terra).
Ci ha parlato del rapporto tra il cinema e le migrazioni, ragionando sul suo lavoro e su quelli di altri autori. Ha inoltre evidenziato i problemi legati alle logiche del mercato e ha chiarito come la produzione di un film sia anche, se non soprattutto, un processo di apprendimento.

Nel video c'è la versione audio dell'intervista, con alcuni inserti tratti dal backstage di La prima neve e frammenti di alcuni dei film citati. Di seguito la trascrizione.

Ciao Andrea e benvenuto. Vorrei chiederti se ritieni, in quanto autore cinematografico, che i registi e i cineasti dovrebbero assumere necessariamente una posizione rispetto all'attualità e alla cronaca, o se al contrario pensi che l'impegno diretto sia una cosa che ha che fare con le scelte individuali e le poetiche di ciascun autore.

Mah... "dovrebbero" è un termine suscettibile di diverse interpretazioni. Credo che non debba essere un dovere strutturale; è un dovere etico-morale che qualcuno sente e qualcuno non sente. La cosa che va sottolineata è che il sistema di mercato di oggi ti sconsiglia di farlo. Prendere posizione in senso socio-politico significa frammentare il tuo pubblico di riferimento e quindi gli agenti del mercato ti sconsigliano di farlo, perché polarizzi i tuoi spettatori. Dal loro punto di vista è invece utile mantenere una arena di consumo più ampia.

L'impressione, guardando i tuoi film, è che tu cerchi di fare in modo che siano le storie stesse a parlare. C'è partecipazione nei confronti dei personaggi, ma è come se tu affidassi alla pregnanza delle vicende il compito di suscitare un pensiero, una riflessione nello spettatore. E' così?

La ritengo un'interpretazione corretta, come del resto le altre, nel senso che mi fa molto piacere che ci sia un'opinione libera e plurale sulle mie opere. Non credo ci sia un'interpretazione più giusta o più sbagliata di altre. Quello che cerco di fare è sempre un lavoro che prova ad unire l'intimo con l'interessante, quindi tensioni personali nelle vite delle persone - vere o inventate che siano - che aiutino anche ad accendere sguardi sulla contemporaneità, sulle tensioni sociali che si vivono nel nostro mondo.

ioliProvo ad articolare la domanda in un modo leggermente diverso: ravvisi un rischio nel cinema cosiddetto "a tesi"? Cioè nelle opere troppo didascaliche, troppo programmatiche?

Il cinema documentario non può essere un cinema che spiega. Deve essere piuttosto un cinema che pone questioni, perciò il film a tesi, nel momento in cui la tesi diventa un modo per convincere gli altri, è sbagliato. Il film a tesi costruito a partire da un'argomentazione complessa, che aiuta a porsi delle domande, invece trovo faccia appieno il suo dovere.

Allontaniamoci un attimo dalla tua produzione personale: vorrei chiederti il parere su un film italiano importante sul tema dell'emigrazione e cioè "Lamerica" di Gianni Amelio. Ti ricordi quando il film uscì? Qual è la tua opinione a riguardo?

Non ho un ricordo preciso della mia reazione quando uscì, e neanche di quando l'ho visto la prima volta. Di sicuro rimane un film importante anche se secondo me ha il peso di aver letto le migrazioni degli altri in paragone alle nostre, come se fosse necessario sempre un paragone con noi per capire gli altri. Credo che capire gli altri sia uno sforzo in cui il "noi" deve mettersi in discussione e non soltanto essere un punto di riferimento a cui riportare le storie degli altri.

Quali sono a tuo parere i film più importanti sul tema della migrazione? Italiani e non?

La jaula de oro è un film che ho trovato molto utile anche per il mio lavoro, Miracolo a Le Havre, di Kaurismaki. Poi, tra gli italiani L'orchestra di Piazza Vittorio e anche Saimir.

Provo a suggerirti io tre nomi di tre autori europei, diversi che si sono occupati ciascuno in un paio di film almeno almeno del tema della migrazione e dell'integrazione sto pensando a Ken Loach, i fratelli Dardenne e Fassbinder.

Allora, fra i tre quello che mi piace di più è Ken Loach. Forse sul tema sono stati più bravi i fratelli Dardenne.

Ci sono un altro paio di opere su cui mi piacerebbe sapere la tua opinione: una è "Welcome", di Philippe Lloret. L'altra, sempre francese di produzione, è "Dheepan" di Jacques Audiard. Hai visto questi film?

Preferisco Welcome, di Lloret. Lo ritengo un film molto utile proprio nella linea dell'unire l'intimo al macro, diciamo.la jaula de oro 1

Tornando al tuo lavoro, qual è in generale la difficoltà più grande che trovi nell'approcciare il tema? Da qualunque punto di vista: etico, tecnico, linguistico...

Da un punto di vista della fattura, l'attenzione principale è rivolta al trovare i toni e modi di raccontare una storia che mi aiuti a capire qualcosa. Cioè, se alla fine di un film io ho confermato quello che sapevo all'inizio, l'iter produttivo non è andato in porto bene. La consapevolezza dell'ignoranza è il mio motore di partenza: quando sento che non so qualcosa e cerco di capirlo frequentando la realtà, lì funziona, diciamo. Laddove invece nella realtà trovo la conferma di ciò che pensavo prima, allora il progetto non mi è servito.

Da un punto di vista produttivo la difficoltà principale è quella che menzionavo prima, cioè il peso che viene dal mercato che dovrebbe indurmi a non essere troppo scomodo, e invece siccome faccio un cinema scomodo, allora ogni volta ci si scontra con questa dinamica che pesa ad esempio molto sulla distribuzione dei film.

C'è a tuo avviso, riguardo al tema dei migranti, una storia che meriterebbe di essere raccontata e ancora non lo è stata? Potrebbe essere una vicenda specifica, individuale, oppure un aspetto del fenomeno che è rimasto sotto traccia e invece meriterebbe di essere portato alla luce?

Beh, rispetto alle migrazioni penso che la cosa che non abbiamo ancora affrontato, e che sarà importante raccontare, è il punto di vista di chi vuole cercare di partire e sa quali sono i divieti e gli ostacoli rispetto alla partenza. Lo ha fatto un po' Daniele Gaglianone l'anno scorso in un cortometraggio presentato a Locarno ed è stato un tentativo interessante anche se non perfettamente riuscito. Però è una cosa su cui bisognerebbe indagare ancora.

L'altro punto di vista che non è mai stato raccontato è quello dei parenti delle vittime. Quando ci sono stragi, eventi tragici che riguardano la nostra storia, diamo voce, diamo importanza ai parenti delle vittime. Invece sulle migrazioni sembra sempre che queste persone muoiano senza lasciare nessuno, perché per la percezione comune non hanno un'individualità ma rappresentano una tipologia. Invece ascoltare chi rimane solo aiuterebbe a dare identità alle persone scomparse.

Solitamente concludo l'intervista chiedendo all'ospite il suo film preferito. In questo caso, essendo tu un regista, puoi anche rispondermi con il film che secondo te è stato più importante per farti prendere la decisione di diventare appunto un autore.

Io amo molto Kaurismaki, perché fa un cinema complicatissimo dal punto di vista degli equilibri narrativi, che io non riuscirò mai a fare. Mi diverto e imparo sempre tantissimo con i suoi film. La sua capacità di gestire il surreale è una grande dote artistica.

...e oltretutto si tratta di un regista che si è anche occupato del tema in oggetto, quindi mi sembra la degna conclusione dell'intervista. Grazie!

Grazie a te. Alla prossima.